
Nel seguito, presentiamo il report inviatoci da 
Domenico Pizzuti e preparato per il "Comitato campano con i rom" in seguito alla  visita ai campi rom di Giugliano (Napoli). 	  
 
	  	  	  
	  
	  	
In una giornata grigia e piovosa,  a nome del “Comitato campano con i rom“,  mi sono accompagnato con alcuni rappresentanti dell’ECRI (European Commission against Racism and Intollerance) in missione a Napoli per una visita  di controllo  al campo rom di Giugliano,   per le  vicenda legate allo  sgombero decretato dal Tribunale di Napoli  da più di un anno per la tossicità del terreno  con la necessità di una bonifica, e per  i difficili rapporti con gli stabilimenti dell’area industriale ASI.  Una  parziale sistemazione  degli abitanti dei campi da parte del Comune di Giugliano  riguarda solo  120 abitanti in un campo container, mentre gli altri sono figli di nessuno.  
Accompagnata da Rachele dell’Associazione di volontariato “Gioventù novanta” dalla stazione della metropolitana attraverso la popolosa città di Giugliano (115.500 abitanti) per giungere fuori porta – a qualche kilometro dall’abitato - alla zona  industriale ASI e di insediamento di 13 campi abitati da circa 800 rom di origine jugoslava, 450 secondo il censimento del 2008 da parte del Commissario di governo Prefetto Alessandro Pansa. I campi sono 13,  sparsi tra terreni agricoli  con cumuli di rifiuti metalliferi lungo i sentieri  e pozzanghere per la pioggia, nella maggioranza formati da piccoli nuclei familiari  con numerosi bambini, il campo 7 comprende 50 nuclei familiari ed  il campo 13 una ventina e così via.  In vista di una risistemazione è opportuno far presente che alcuni di questi campi sono al di là della zona ASI in un terreno abbandonato  e che si potrebbe eventualmente  attrezzare per una maggiore vivibilità con la cooperazione degli stessi rom.  Il campo oggetto di contestazione per recriminazioni dei rappresentanti degli impianti industriali è invece collocato tra i fabbricati  industriali,   in un terreno   lastricato   ed  abitato da alcuni fratelli  con le loro famiglie in  abitazioni sistemate  dignitosamente secondo le diverse necessità della famiglia. 
Parliamo con alcuni capifamiglia di piccoli campi che esibiscono il  tesserino del censimento e/o permesso di soggiorno e ci parlano della loro famiglia con  numerosi figli nati sul suolo italico (anche sette e nove in alcuni casi), mentre sciamano intorno a noi  le donne con i loro bambini in braccio.   La volontaria che mi accompagna  si fa premura di sottolineare  che sta aspettando che un giovane scolarizzato di un campo visitato compia a breve  i 18 anni per potere inoltrare la richiesta di cittadinanza italiana.  Risuona spesso  nei discorsi  di  questi capi-famiglia che sono  da 25 anni in quel luogo e da 30 anni e più in Italia, provenendo dalla Bosnia e paesi limitrofi in seguito alla dissoluzione della ex-Jugoslavia. Sono fieri di affermare che con il riciclaggio di vari materiali  ed altri commerci provvedono  con i loro automezzi alle necessità  delle  loro numerose famiglie. Non ignoriamo che non sono pochi coloro che sono iscritti nel casellario giudiziario.  
Ci rechiamo poi al “campo nuovo” in via di installazione, ed un custode ci fa entrare  in uno  impiantito  circondato da un muro e chiuso da un cancello. Stanno depositando parte dei 24 container,  costituiti  da moduli con i servizi essenziali per cinque componenti, mentre è noto che le famiglie hanno una numerosa prole. Non si avvista una pianta o un fiore, anche se   al di là del muro di destra spuntano le cime di alberi di un vivaio, il cui conduttore non è contento di avere simili vicini. Predomina in tutto il complesso il grigio sporco o slavato dell’impiantito, dei muri e dei container,  e l’impressione è quella  ghettizzante di un centro di permanenza o identificazione temporanea. Si rafforza la convinzione che bisogna superare qualsiasi forma di “campo” isolante o ghetto, prevedendo con la collaborazione degli stessi rom una pluralità di soluzioni abitative che integrino i rom nel territorio e tessuto circostante. È noto che erano disponibili altre somme da parte del Commissario di governo per l’emergenza rom, ma il Comune di Giugliano  ha posto un limite ai rom da ospitare mentre gli altri comuni non hanno offerto disponibilità. Ne componenti del terzo settore e delle stesse comunità cristiane locali hanno offerto altre soluzioni, anche per diffidenza ed ostilità delle popolazioni del territorio. Ci è stato detto che rappresentanti dei campi almeno in due occasioni  hanno partecipato a tavoli di concertazione  presso il Comune per discutere le diverse sistemazioni, ed ultimamente in una riunione con il “Comitato campano con i rom” si sono dichiarati  per soluzioni  abitative riguardanti  tutte le famiglie, disponibili se assegnatari dei moduli in seguito al bando comunale  a non entrare nelle abitazioni. 
A parte la struttura familistica degli insediamenti e la numerosa prole generata dalle famiglie, rimangono – a nostro avviso - problematiche le ragioni di una così lunga permanenza secondo un  certo stile di vita  nelle  difficili condizioni  ai margini della città,  che senza stereotipi o pregiudizi sono da approfondire con  empatia   da parte non solo di alcuni  volontari ma  delle popolazioni circostanti per una convivenza arricchente da realizzare. Oltre all’Opera nomadi locale di anni addietro, sono operanti da circa un decennio due giovani donne dell’associazione di volontariato “Gioventù novanta”, che si adoperano per la scolarizzazione dei bambini, le cure sanitarie, i servizi legali, ed ultimamente per la compilazione delle richieste  per l’assegnazioni delle abitazioni secondo il  bando comunale. Ed  un  regista locale sta preparando con sensibilità   un corto  sulle condizioni e gli abitanti dei campi di Giugliano
Nella dispersione rude sul territorio di queste famiglie vive e pacifiche,  ci pare quasi si trovarci nella “Repubblica rom di Giugliano” nel senso  migliore del termine cioè multiculturale, con cui mischiarci e convivere per crescere in Umanità. 
Domenico Pizzuti 
Napoli, 1° dicembre 2010